Le autorità regolatorie di vari paesi, compresa l’Italia, hanno provveduto recentemente ad emanare una nota di allerta su olanzapina e risperidone, con conseguente modifica del foglietto illustrativo, segnalando un nuovo rischio, non noto in precedenza, legato all'impiego di questi farmaci nei pazienti con demenza: l’aumento della mortalità e degli eventi avversi cerebrovascolari (ictus e attacchi ischemici transitori). In particolare, sull’olanzapinale informazioni di sicurezza provengono da un’analisi retrospettiva integrata di 5 studi controllati con placebo, della durata di 6-12 settimane, condotti su 1.662 pazienti anziani (età media 78 anni) affetti da demenza di Alzheimer, vascolare e mista. Questi studi, oltre a non dimostrare l’efficacia dell’olanzapina nel trattamento delle psicosi e dei disturbi comportamentali, hanno rilevato una mortalità 2 volte superiore rispetto al placebo (rispettivamente 3,5% contro 1,5%). La più alta incidenza di decessi non è risultata associata alla dose di olanzapina (dose media giornaliera di 4,4 mg) o alla durata del trattamento. Negli stessi studi clinici, gli eventi avversi cerebrovascolari (es. ictus e TIA), alcuni dei quali fatali, hanno avuto una incidenza 3 volte superiore rispetto al placebo (1,3% contro 0,4%).
Per ciò che riguarda il risperidone, un riesame di 4 studi randomizzati, in doppio cieco, realizzati su un totale di 1.779 pazienti con demenza, per la durata di 8-12 settimane, ha evidenziato un aumento di rischio di eventi cerebrovascolari, il 45% dei quali giudicati gravi (potenzialmente fatali, comportanti una lunga ospedalizzazione o una disabilità di lunga durata), di oltre 3 volte rispetto al placebo (33 contro 8). Una metanalisi effettuata sui dati complessivi ha stimato il rischio assoluto, espresso come NNH, di 6,3 all’anno: vale a dire, ogni 6 pazienti anziani con demenza che assumono risperidone per un anno, 1 andrà incontro ad un evento cerebrovascolare attribuibile al farmaco. La stessa CUF, sulla base di questi dati, aveva espresso parere sfavorevole alla richiesta di estensione delle indicazioni terapeutiche del risperidone al trattamento delle psicosi e dei disturbi del comportamento associati alla demenza.
Pur non essendovi, a tutt’oggi, evidenze specifiche a carico della quetiapina, non si può escludere che il farmaco presenti gli stessi problemi.
Pur riconoscendo i limiti delle analisi retrospettive, i risultati sono tali da imporre cautela e sollevano il problema più generale dell’impiego diffuso degli antipsicotici nei pazienti con demenza. Se è vero che la particolare attenzione cui sono stati sottoposti gli atipici ha prodotto queste nuove conoscenze, è altrettanto vero che non sappiamo se i "vecchi" antipsicotici siano esenti dal rischio di eventi cerebrovascolari e, in assenza di informazioni specifiche al riguardo, non esistono ragioni di ritenerli più sicuri.
In attesa che si faccia maggiore chiarezza e di indicazioni precise da parte del Ministero, appare prudente non iniziare nuovi piani terapeutici con gli atipici. Nei casi di nuova diagnosi, in assenza di controindicazioni (es. demenza a corpo di Lewy, parkinsonismo già evidente), si potrebbe tentare un trattamento con aloperidolo a basse dosi per un periodo limitato di tempo, mantenendo il paziente sotto stretto controllo. Nei pazienti in terapia con gli antipsicotici atipici, sospendere di colpo il trattamento può risultare pericoloso da un punto di vista clinico e difficilmente realizzabile sul piano organizzativo; la soluzione potrebbe essere quella di tentare una sospensione graduale nei pazienti che tornano al centro per un controllo o per un rinnovo del piano terapeutico, mantenendo nel frattempo un monitoraggio attento, con controlli più ravvicinati, tentando di sospendere il trattamento in caso di miglioramento clinico stabile.