Sintomi indotti dalla chemioterapia
La comparsa di nausea e vomito in corso di chemioterapia dipende da fattori individuali legati al paziente (es. questi sintomi sono più comuni nelle donne, nei pazienti con nausea pregressa e in quelli in cui un precedente trattamento chemioterapico ha causato nausea e vomito), dai farmaci impiegati e dal loro dosaggio2,4.
I chemioterapici vengono spesso classificati in base al loro potenziale emetizzante. Il cisplatino (es. Platinex) è altamente emetizzante: senza un trattamento antiemetico, dosi singole superiori a 50mg/m2 causano vomito in quasi tutti i pazienti2,4,5. Tra i farmaci diversi dal cisplatino, la ciclofosfamide (Endoxan), a dosaggi superiori a 1.000mg/m2, e la dacarbazina (Deticene) sono anch'esse molto emetizzanti (es. provocano vomito in più del 90% dei pazienti). Con dosi inferiori di cisplatino o di ciclofosfamide, il rischio di vomito rimane ancora moderatamente elevato (60-90%); carboplatino (es. Paraplatin), doxorubicina (es. Adriblastina), ifosfamide (Holoxan), irinotecan (Campto) e metotrexato (es. Methotrexate) sono altri farmaci con un rischio emetizzante moderato o moderatamente elevato (variabile tra il 30% ed il 90%, a seconda del dosaggio). Fluorouracile (es. Fluorouracile Teva), etoposide (es. Vepesid) e taxani [docetaxel (Taxotere), paclitaxel (Taxol)] hanno un potenziale emetizzante da basso a moderato (10-30%), mentre la bleomicina (Bleomicina), il clorambucile (Leukeran) e gli alcaloidi della vinca [es. vinblastina (Velbe), vindesina (Eldisine)] sono classificati come a basso rischio (meno del 10% dei pazienti vomita dopo la somministrazione del farmaco)2,4,5. Con la polichemioterapia, il rischio di vomito è più alto rispetto alla monoterapia e viene generalmente determinato dai farmaci più emetizzanti presenti nell'associazione.
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Nausea e vomito acuti
Prima dell'introduzione degli antiserotoninergici, avvenuta agli inizi degli anni '90, lo schema più efficace per prevenire nausea e vomito acuti associati alla chemioterapia era rappresentato dall'associazione dell'antidopaminergico metoclopramide (es. generico, Plasil), somministrato a dosaggi elevati, con desametasone (es. Soldesam) più lorazepam (es. generico, Tavor) o difenidramina (nessuna specialità in commercio in Italia)3,13. Successivamente, una metanalisi di 30 studi randomizzati, controllati (tutti pubblicati prima del 1996), ha dimostrato che gli antiserotoninergici (in genere somministrati in monoterapia, ma associati a desametasone in alcuni studi) sono più efficaci nel prevenire il vomito acuto indotto dalla chemioterapia rispetto alla metoclopramide ad alte dosi (con o senza desametasone ed altri antiemetici)14. Negli studi condotti su pazienti trattati con una chemioterapia altamente emetizzante come quella con cisplatino (15 studi, per un totale di 2.634 pazienti), un minor numero di pazienti nel gruppo trattato con un antiserotoninergico (granisetron, ondansetron o tropisetron) ha manifestato uno o più episodi di vomito, rispetto al gruppo trattato con alte dosi di metoclopramide (40% vs. 51%). Ciò significa che si devono trattare 9 pazienti (NNT) per prevenire il vomito in un paziente nelle prime 24 ore dopo la chemioterapia. Con una chemioterapia moderatamente emetizzante (11 studi, per un totale di 1.848 pazienti), a vomitare è stato il 32% dei pazienti trattati con un antiserotoninergico contro il 49% di quelli trattati con metoclopramide (ai dosaggi convenzionali) o con altri antiemetici (NNT 6)14.
Successivi trial randomizzati hanno confermato il vantaggio degli antiserotoninergici, come classe, sugli antidopaminergici e altri antiemetici. Gli antiserotoninergici attualmente disponibili proteggono il 50-80% circa dei pazienti contro il vomito acuto durante il primo ciclo di chemioterapia a base di cisplatino e prevengono la nausea acuta nel 40-70% circa dei pazienti4,9,15. Nei pazienti sottoposti a chemioterapia altamente emetizzante, un antagonista serotoninergico risulta generalmente meglio tollerato della metoclopramide ad alte dosi4,5. In particolare, non comporta gli spiacevoli effetti extrapiramidali (come la distonia acuta) e la sedazione associati al trattamento con metoclopramide.
Gli antiserotoninergici differiscono tra loro nell'affinità di legame ai recettori 5-HT3 e nella emivita plasmatica2. Tuttavia, quando somministrati ai dosaggi comunemente raccomandati, mostrano una efficacia simile nel prevenire nausea e vomito acuti indotti dalla chemioterapia4,5,15-17. I pazienti nei quali i sintomi acuti non sono controllati da un antiserotoninergico possono rispondere ad un altro farmaco della stessa classe durante i cicli successivi di terapia18,19. Alcuni pazienti metabolizzano rapidamente alcuni antiserotoninergici e ciò, in teoria, potrebbe comportare dei livelli plasmatici subottimali2,9. Poiché gli antiserotoninergici non seguono la stessa via metabolica, è possibile che cambiando principio attivo si riesca a ottenere un miglior controllo dei sintomi nei singoli pazienti.
Molti degli studi pubblicati sugli antiserotoninergici hanno valutato la loro efficacia limitatamente al primo ciclo di chemioterapia. Esistono dati contrastanti sul fatto che l'efficacia profilattica nei confronti di nausea e vomito acuti venga mantenuta del tutto durante i cicli successivi16,18,20 o tenda a ridursi21.
Antiserotoninergici più desametasone
L'efficacia di un antiserotoninergico nel prevenire nausea e vomito acuti dopo la chemioterapia risulta significativamente aumentata dall'associazione col desametasone4,5,14. In una metanalisi di 11 studi randomizzati, controllati (su un totale di 2.119 pazienti), che hanno confrontato un antiserotoninergico con lo stesso farmaco associato al desametasone, un minore numero di pazienti nel gruppo trattato con l'associazione ha vomitato nelle 24 ore successive a chemioterapia altamente o moderatamente emetizzante (24% vs. 41%; NNT 6)14.
In un'altra metanalisi di 22 studi randomizzati (per lo più in doppio cieco, condotti su pazienti sottoposti a chemioterapia altamente emetizzante), condotti su un totale di 3.791 pazienti, l'associazione di un antiserotoninergico col desametasone ha aumentato la probabilità di non manifestare vomito acuto rispetto all'associazione tra un antiserotoninergico e placebo oppure al solo antiserotoninergico (NNT 6)22.
Quale schema per la fase acuta?
Questi risultati indicano che l'associazione di un antiserotoninergico col desametasone fornisce una protezione ottimale nei confronti della nausea e del vomito acuti conseguenti a chemioterapia con un potenziale emetizzante da moderato ad elevato (cioè superiore al 30%)4,5. Per i pazienti sottoposti a terapia lievemente-moderatamente emetizzante (rischio di nausea e vomito compreso tra il 10% ed il 30%), il desametasone da solo (4-8 mg endovena prima della chemioterapia) assicura in genere una protezione completa4,5. Per i pazienti che ricevono una chemioterapia a basso potenziale emetizzante (inferiore al 10%), un antidopaminergico per via orale fornisce una protezione soddisfacente4. Il domperidone può rappresentare un'opzione migliore della metoclopramide perché causa meno frequentemente effetti indesiderati centrali.
Dosi singole per via orale o endovenosa di un antiserotoninergico, somministrate poco prima della chemioterapia, sembrano efficaci quanto gli schemi a più somministrazioni nelle prime 24 ore dopo la chemioterapia4,23,24. Inoltre, gli studi clinici sugli antiserotoninergici hanno rilevato modeste differenze di efficacia in un intervallo ampio di dosaggi; quindi nella maggior parte dei pazienti adulti sarà adeguato l'impiego di una singola dose bassa (es. 100 mg di dolasetron, 1-3 mg di granisetron, 4-8 mg di ondansetron, 250 mcg di palonosetron, 5 mg di tropisetron, per via endovenosa)4. Dosi maggiori possono essere indicate nei trattamenti ad elevato potenziale emetizzante nei pazienti con fattori di rischio individuali per emesi acuta.
In generale, la somministrazione orale ed endovenosa di un antiserotoninergico sembrano garantire un'analoga efficacia protettiva contro l'emesi acuta4,5. Non esistono studi che abbiano confrontato direttamente le due vie di somministrazione per ogni singolo antiserotoninergico, ma studi randomizzati in doppio cieco hanno dimostrato un'efficacia analoga tra il granisetron per via orale e l'ondansetron per via endovenosa nei pazienti sottoposti a chemioterapia altamente25 o moderatamente emetizzante26. Secondo alcune linee guida, la terapia orale sarebbe meglio accettata dai pazienti2,4, ma non ci sono prove che i pazienti sottoposti a chemioterapia potenzialmente emetizzante preferiscano assumere gli antiemetici per bocca. Inoltre, molti di loro avranno un accesso venoso temporaneo per la somministrazione dei farmaci citotossici e quindi possono preferire che gli antiemetici vengano somministrati per questa via.
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Terapia di associazione per l'emesi ritardata?
I dati disponibili suggeriscono che, dopo chemioterapia altamente emetizzante, il desametasone in associazione con un altro antiemetico può essere più efficace del solo desametasone nel prevenire il vomito ritardato. Ad esempio, in uno studio randomizzato, condotto su 91 pazienti, nel gruppo trattato con desametasone più metoclopramide dal giorno 2 al giorno 5, meno pazienti hanno sviluppato vomito ritardato dopo chemioterapia con cisplatino rispetto al gruppo trattato col solo desametasone (48% vs. 65%)30. Al contrario, in uno studio randomizzato condotto su 708 pazienti sottoposti a chemioterapia moderatamente emetizzante, l'associazione tra desametasone e ondansetron non si è dimostrata più efficace nel prevenire il vomito ritardato rispetto al solo desametasone31.
Non sembrano esservi differenze significative di efficacia nella prevenzione del vomito ritardato tra l'associazione tra un antiserotoninergico e desametasone o un antidopaminergico e desametasone. In uno studio randomizzato, realizzato su 322 pazienti sottoposti a chemioterapia a base di cisplatino, l'associazione tra ondansetron (8 mg 2 volte al giorno) e desametasone (4-8 mg 2 volte al giorno) è risultata efficace quanto l'associazione tra metoclopramide (20 mg ogni 6 ore) e desametasone, prevenendo entrambe il vomito ritardato nel 60% circa dei pazienti8. Solo nel piccolo sottogruppo di pazienti (22% del totale) che avevano manifestato vomito acuto, l'efficacia nei confronti del vomito ritardato è stata leggermente superiore per l'associazione tra ondansetron e desametasone (28,6% vs. 8,8% con l'associazione tra metoclopramide e desametasone).
Quale regime per il vomito ritardato?
Allo stato attuale delle conoscenze, il desametasone (es. 4 mg 2 volte al giorno nei giorni 1-3) rappresenta il farmaco più efficace in monoterapia per la prevenzione di nausea e vomito ritardati. Dopo chemioterapia altamente emetizzante risulta appropriato il suo impiego in associazione con un altro antiemetico. Tuttavia, non sembrano esservi vantaggi nell'utilizzare un antiserotoninergico al posto di un antidopaminergico (domperidone o metoclopramide), che ha un costo inferiore4,5,15. E' dimostrato che il controllo dell'emesi ritardata dipende in larga parte da un buon controllo della nausea e del vomito nelle prime 24 ore dopo la chemioterapia2.
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Effetti indesiderati
Gli effetti indesiderati più frequenti degli antiserotoninergici sono la stitichezza e la cefalea. La stitichezza causata dagli antiserotoninergici può essere accentuata dall'impiego concomitante di oppiacei o di altri farmaci costipanti, e può comportare seri problemi nei pazienti oncologici quando, per esempio, una patologia preesistente predisponga il paziente al rischio di ostruzione intestinale. Pertanto, è molto importante non somministrare gli antiserotoninergici più a lungo di quanto indicato, né utilizzarli "empiricamente" per attenuare la nausea e il vomito non correlati a radio- o chemioterapia. Gli altri eventi avversi risultano generalmente di lieve entità e transitori: si tratta di vertigini, dolore addominale, stanchezza e alterazioni asintomatiche degli enzimi epatici. Con gli antiserotoninergici sono state riportate modificazioni ECGrafiche, compreso un prolungamento dell'intervallo QT, ragione per cui è necessario prestare attenzione prima di prescrivere questi farmaci in pazienti con preesistenti difetti della conduzione cardiaca o con una storia di disturbi del ritmo cardiaco.
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