Durante la gravidanza, la possibilità che il bambino nasca con qualche difetto congenito rappresenta uno dei motivi d'ansia più frequenti. Se poi la donna, per un motivo qualsiasi, ha assunto dei farmaci, l'ansia aumenta ancora di più.
Questo atteggiamento di sospetto e di paura, nella maggior parte dei casi ingiustificato, con tutta probabilità è una conseguenza del segno indelebile che ha lasciato nella memoria di tutti quella che venne definita "la tragedia della talidomide". All'inizio degli anni '60, infatti, si verificò un aumento impressionante delle nascite di bambini affetti da focomelia, una malformazione, fino ad allora molto rara, in cui gli arti appaiono rudimentali, come nelle foche. Dopo aver indagato le ipotesi più disparate, fu stabilito con certezza che la responsabilità era da attribuire alla talidomide, assunta dalla madre nella fase precoce della gravidanza. Il farmaco, utilizzato come blando sedativo, per la sua "mancanza di tossicità" veniva venduto addirittura come farmaco da banco, quindi senza ricetta medica.
Per decenni, agli inizio di questo secolo, si era pensato che la placenta fungesse da barriera assoluta e fosse quindi in grado di proteggere il prodotto del concepimento da eventuali danni arrecati da agenti esterni e che le malformazioni fossero prevalentemente ereditarie. La scoperta degli effetti sul feto del virus della rosolia dapprima (1941) e della talidomide poi (1961) è servita a creare una "sensibilità" nei confronti del problema e, soprattutto, a cambiare l'atteggiamento nei confronti della somministrazione dei farmaci in gravidanza. La tragedia della talidomide, nel bene e nel male, ha segnato una svolta nella storia della farmacologia e ad essa la medicina è debitrice di una lezione fondamentale. Solo da allora ha cominciato infatti ad affermarsi la consapevolezza della possibile azione tossica dei farmaci sul feto e questo sia a livello di "addetti ai lavori" che dell'opinione pubblica e si sono introdotte di conseguenza norme più rigorose per la sperimentazione dei farmaci prima della loro introduzione in commercio.
Nonostante l'attenzione al problema sia andata progressivamente crescendo nel corso degli anni, le conoscenze sulla sicurezza dell'impiego dei farmaci in gravidanza sono spesso carenti, a volte addirittura assenti (questo vale in particolar modo per i farmaci di recente immissione in commercio). Questa situazione induce paradossalmente due atteggiamenti opposti: da un lato un ottimismo che può portare ad una eccessiva medicalizzazione, dall'altro, più spesso, paure ingiustificate che portano a non utilizzare farmaci neppure là dove servono. A mantenere questa condizione di "allarme" nell'opinione pubblica contribuiscono anche le periodiche segnalazioni di possibili effetti indesiderati di farmaci assunti durante la gravidanza che vengono divulgate e amplificate dai mass-media. Si tratta perciò di un argomento sul quale l'informazione è oltremodo importante.
Le indagini dicono che la maggior parte delle donne assume almeno un farmaco durante la gravidanza. Agli interrogativi che normalmente ci si deve porre quando si usano dei farmaci per ciò che riguarda la loro utilità, l'efficacia o la tossicità, la gravidanza ne aggiunge altri che riguardano gli effetti sul feto e la possibilità di indurre malformazioni o difetti congeniti.
Cosa sono i difetti congeniti?
I difetti congeniti comprendono tutte quelle alterazioni della struttura o della funzione di uno o più organi, che si sono determinate prima della nascita, al momento del concepimento o durante la vita embrionale o fetale. Ne sono esempi la sindrome di Down, le cardiopatie congenite, la fibrosi cistica, la distrofia muscolare, la spina bifida, ecc. Ogni difetto congenito avrà un suo specifico effetto sulla salute. Alcuni determinano un'alterazione anatomica degli organi (sono le malformazioni comunemente intese come ad esempio le malformazioni del cuore), altri un'alterazione funzionale (ad esempio ritardo mentale), altri ancora un'alterazione dello sviluppo corporeo (ad esempio bassa statura). Presentano quindi una gamma di espressioni cliniche molto variabile, da quelli molto gravi, incompatibili con la sopravvivenza, ad altri molto più lievi e di solo significato estetico. Si parla invece di deformazioni nel caso di difetti di forma o posizione che si verificano sì durante il periodo fetale ma su strutture già formate che si "deformano" per cause meccaniche estrinseche (es. lussazione congenita dell'anca, piede torto congenito).
Il numero di difetti congeniti noti è elevatissimo (circa 5.000) e i progressi delle tecniche diagnostiche permettono agli specialisti di scoprirne ogni anno dei nuovi; tuttavia, nella maggior parte dei casi, si manifestano raramente. Se consideriamo le sole malformazioni di una certa gravità, le stime indicano che siano presenti nel 2,5-3% dei nati. In Italia ogni anno nascono circa 500.000 bambini: di questi 12.500-15.000 nascono affetti da una malformazione; il numero raddoppia se si considerano i difetti congeniti nel loro complesso. Di questi circa un terzo muore nel primo anno di vita, un terzo presenterà una disabilità o un handicap permanente e solo un terzo potrà essere trattato in modo soddisfacente.
Quali sono le cause delle malformazioni congenite?
Secondo stime effettuate, nel 60% circa dei casi le cause rimangono purtroppo sconosciute. Nel 20% dei casi di malformazioni entrano in gioco meccanismi ereditari multifattoriali e nel 13,5% dei casi anomalie genetiche. Solo nel 6-7% di casi si riconosce la responsabilità dei cosiddetti agenti teratogeni, cioè agenti in grado di indurre un effetto teratogeno. Con questo termine si intende qualsiasi effetto prodotto sul feto dall'azione di un agente esterno, nel periodo che va dal concepimento al completamento dello sviluppo di tutti gli organi del bambino. Fra gli agenti teratogeni riconosciuti rientrano alcune infezioni contratte dalla madre (come ad esempio la rosolia, la toxoplasmosi, la sifilide) che incidono per il 3% circa, alcune malattie materne (come il diabete e l'epilessia) che incidono per il 2-3% circa e alcuni farmaci la cui incidenza complessiva sullo sviluppo di malformazioni fetali non supera l'1%.
I farmaci e lo sviluppo di malformazioni congenite
Nonostante il rischio teratogeno dei farmaci sia percentualmente così basso, esiste sia da parte della donna che da parte del medico che la segue una preoccupazione, a volte esclusiva, per i "farmaci" probabilmente perché si tratta di sostanze chimiche estranee al nostro organismo ed inoltre perché può essere relativamente semplice accertarne l'assunzione durante la gravidanza. Se esistesse la possibilità di determinare con altrettanta semplicità quale influenza abbiano sul prodotto del concepimento le nostre abitudini di vita o l'esposizione a inquinanti ambientali o alimentari o se conoscessimo in modo più approfondito i complessi processi metabolici del nostro organismo, forse molte ipotesi prenderebbero altre direzioni.
I farmaci somministrati nel corso della gravidanza possono influire negativamente sullo sviluppo dell'embrione e del feto in molti modi.
Nelle prime due settimane dopo il concepimento è probabile che l'esposizione a farmaci teratogeni, come emerge da studi sperimentali, dia luogo ad un effetto detto di tipo "tutto o nulla": in altre parole o l'embrione muore e si ha un aborto o rimane indenne e si sviluppa in modo normale. La successiva fase dello sviluppo embrionale è quella nella quale si verificano le tappe fondamentali della differenziazione e sviluppo dei vari organi (organogenesi). E' proprio questo periodo, fra la terza e l'ottava settimana, in cui vi è la massima suscettibilità agli agenti teratogeni. L'effetto teratogeno sarà tanto maggiore quanto più precoce sarà l'esposizione. Dopo la fase dell'organogenesi, l'eventuale effetto di danno fetale da farmaci, sarà limitato ad anomalie dell'accrescimento o della funzione, specialmente a carico del sistema nervoso centrale, senza difetti di struttura di rilievo. Ed è per questo che normalmente i farmaci sono controindicati soprattutto nel primo trimestre di gravidanza.
Altro periodo critico per la somministrazione dei farmaci è la fine della gravidanza, in prossimità del parto o addirittura durante il travaglio: in questo caso però gli effetti tossici di una sostanza farmacologica sono più lievi e transitori ed influenzano soprattutto le fasi più precoci dell'adattamento del neonato alla vita extrauterina.
Oltre al momento della somministrazione, anche la durata dell'esposizione al farmaco è importante al fine di valutare il rischio di comparsa di malformazioni fetali: il rischio sarà tanto maggiore quanto più prolungata sarà stata l'esposizione al teratogeno.
Come si individua un farmaco teratogeno?
Purtroppo la scarsa comprensione dei meccanismi della teratogenicità rende difficile prevedere, su base farmacologica, se un farmaco sarà in grado di provocare malformazioni congenite. Solo integrando fra loro i risultati di diversi sistemi di sorveglianza è possibile fare progredire le conoscenze in questo campo. Prima della sua immissione sul mercato ogni nuova sostanza viene studiata sugli animali. Ma questo, anche se rappresenta una buona indicazione, non basta perché molti farmaci possono risultare teratogeni nell'animale ma non lo sono necessariamente per l'uomo e viceversa. Per molti farmaci quindi l'immissione in commercio avviene in assenza di dati relativi ai possibili effetti di danno fetale nell'uomo. Le conoscenze vengono così accumulate "a posteriori", nel corso del tempo, grazie alle segnalazioni di singoli casi, a studi appositamente impostati e cercando di tenere il più possibile sotto controllo la "popolazione" delle donne gravide (studi epidemiologici).
Quali sono i farmaci teratogeni?
Sebbene, come è stato già ricordato, il rapporto fra farmaci e gravidanza sia caratterizzato inevitabilmente da una condizione generalizzata di "allarme", i farmaci ritenuti sicuramente teratogeni, o per meglio dire, che conosciamo essere tali, sono relativamente pochi. Inoltre, i difetti associati ai singoli principi attivi differiscono moltissimo in frequenza di comparsa e gravità. Con alcuni farmaci, infatti, la frequenza di un determinato difetto è molto alta mentre con altri è molto bassa: diverso è dire che la malformazione si manifesta nel 50% dei casi (cioè in un bambino su due) dal dire che si manifesta nell'1% dei casi (cioè in un bambino su 100); così come diversa è la gravità: fra i farmaci teratogeni rientrano sia farmaci che inducono malformazioni molto gravi come la spina bifida (ad esempio l'acido valproico, un farmaco usato nell'epilessia) che farmaci il cui effetto è quello di causare nel nascituro alterazioni del colore e dello smalto dei denti (le tetracicline, una famiglia di antibiotici) che rappresenta un problema soprattutto estetico.
A titolo di esempio, si possono citare alcuni farmaci di largo impiego, sia per la gravità che per la frequenza delle malformazioni che inducono.
I farmaci antiepilettici, ad esempio acido valproico e carbamazepina, hanno un effetto teratogeno ormai ben conosciuto (ma il rischio derivante da una epilessia non controllata è superiore). I retinoidi, isotretinoina (Roaccutan) ed acitretina (Neotigason), impiegati l'uno nel trattamento di gravi forme di acne e l'altro della psoriasi e di altri disturbi dermatologici gravi, sono responsabili, se assunti durante le prime fasi di gravidanza, di gravissime malformazioni. Tutte le donne in età fertile devono esserne informate e, qualora decidessero di intraprendere la terapia, devono adottare una contraccezione sicura che deve essere protratta anche dopo la sospensione del trattamento, per un mese nel caso dell'isotretinoina e per 24 mesi nel caso dell'acitretina. La comparsa di difetti congeniti è associata anche alla somministrazione dei farmaci appartenenti alla classe dei cosiddetti ACE-inibitori, oggi diffusamente utilizzati nel trattamento dell'ipertensione. Possiamo ricordare ancora il litio, un farmaco usato nelle malattie psichiatriche, il warfarin, un anticoagulante e, infine, le già menzionate tetracicline.
Quando il farmaco rappresenta un beneficio terapeutico certo, importante, non altrimenti ottenibile per la madre, va assunto anche se comporta un rischio per il feto, tanto più se la malattia della madre, qualora non curata, può essa stessa nuocere al feto (come nell'esempio dell'epilessia, prima citato).
Quando una donna in età fertile ha una malattia che richiede un trattamento cronico (ad es. asma, ipertensione) nell'impostare il trattamento il medico dovrà tener conto della possibilità che la donna rimanga incinta e dovrà utilizzare quindi il farmaco più sicuro o quello per il quale sono disponibili maggiori informazioni o che sia in uso da più tempo. Sui farmaci più nuovi, proprio perché tali, vi sarà certamente meno documentazione per quanto riguarda l'uso in gravidanza.
Lo stesso discorso varrà, ovviamente, se la malattia insorge in una donna già gravida o il farmaco serve per modificare favorevolmente l'andamento della gravidanza o del parto.
Un impiego saltuario per trattare sintomi acuti non rappresenta di regola un fattore di rischio e di preoccupazione.
Automedicazione in gravidanza
Imparare ad usare i farmaci solo quando ci sono reali motivi è il miglior modo per evitare situazioni di ansia e pericoli veri. Si limita così il rischio che l'assunzione di farmaci avvenga anche nelle prime settimane di gravidanza, quando questo stato non è ancora noto ma il rischio è maggiore. Anche se in gravidanza il ricorso all'automedicazione deve essere limitato, è importante sapere che la maggior parte dei problemi di modesta entità che possono insorgere in questo periodo possono essere affrontati con farmaci sicuri.
I piccoli dolori, come ad esempio un mal di testa, un mal di denti possono essere trattati con paracetamolo (es. Tachipirina). Se il paracetamolo è controindicato o scarsamente efficace, aspirina e antiinfiammatori non steroidei (es. ibuprofene) possono rappresentare una alternativa sicura, se impiegati occasionalmente durante i primi tre mesi. In caso di problemi di stomaco i tradizionali antiacidi (es. Maalox) possono essere assunti al bisogno. Per la tosse non ci sono controindicazioni all'uso del destrometorfano (es. Honeytuss) come sedativo o di sciroppo di guaifenesina (es Resyl sciroppo) come mucolitico, tenendo comunque sempre presente che in questi casi il provvedimento più efficace è sempre una adeguata idratazione. Il lattulosio (es Epalfen) o i lassativi di massa (es. Planten) possono essere usati nei casi di stitichezza che non si riesce risolvere modificando la dieta, come sarebbe ragionevole fare.
E' sempre consigliabile informare il farmacista del proprio stato di gravidanza prima di procedere all'acquisto di un qualsiasi farmaco di libera vendita.
Come sempre ...prudenza e buon senso
I fattori più comuni e importanti che influenzano maggiormente la salute del feto sono fatica, fumo, stress, malnutrizione e alcool.
Fumo. La nicotina ed il monossido di carbonio, presenti nel fumo di sigaretta, attraversano la placenta, riducendo il flusso di sangue e, quindi, di nutrienti ed ossigeno al feto; di conseguenza, l'accrescimento fetale è ridotto. I bimbi nati da donne fumatrici hanno un peso alla nascita significativamente inferiore rispetto ai neonati partoriti da donne non fumatrici. Inoltre, il fumo di sigaretta è associato ad un aumentato rischio di parto prematuro. Alcool. Anche l'alcool è in grado di attraversare la placenta e danneggiare il feto, causando anormalità mentali e fisiche nel bambino. E' ormai ben nota la cosiddetta "sindrome alcolica fetale" (caratterizzata da ritardo della crescita, malformazioni e disfunzioni del sistema nervoso centrale che si possono manifestare come ritardo mentale o anomalie comportamentali), la cui comparsa, tuttavia, è legata ad una assunzione eccessiva e "cronica". Anche se non è noto un limite minimo di assunzione che possa essere considerato sicuro, appare tuttavia ragionevole consentire alle donne che sono abituate ad assumere modeste quantità di vino o birra di continuare a farlo, con la raccomandazione di non superare il mezzo bicchiere di vino o di birra a pasto. Sono invece da bandire assolutamente i superalcolici. Caffeina. La caffeina non possiede effetti teratogeni, tuttavia l'assunzione di elevate quantità può essere associata a parto prematuro e causare la nascita di bambini sottopeso. Nei neonati nati da donne abituate a consumare elevate quantità di caffeina, inoltre, si possono manifestare sintomi da astinenza come irritabilità, nervosismo, pianto eccessivo, disturbi del sonno o alimentari.
Un consumo moderato di caffeina (200 mg corrispondenti a 2-3 tazzine di caffè o 6 tazze di tè) non sembra, invece, rappresentare un rischio per il neonato. Ovviamente, nel calcolo del consumo giornaliero di caffeina occorre tener conto dei quantitativi presenti nelle bevande eventualmente consumate (ad esempio, la CocaCola contiene caffeina) e dei quantitativi presenti in alcuni analgesici da banco (ad esempio, Neo-Cibalgina). Alimentazione. Una dieta varia assicura l'apporto di tutti i nutrienti necessari alla buona salute di mamma e nascituro e risponde agli aumentati fabbisogni (ad esempio, di calcio, ferro e vitamine) della donna in gravidanza. Il medico suggerirà una supplementazione con acido folico, una vitamina del gruppo B che serve a prevenire gravi danni neurologici nel nascituro.
Le risposte ai problemi che accompagnano "quasi inevitabilmente" la gravidanza (nausea, aumenti ponderali, ecc.) sono da ricercare anzitutto attraverso provvedimenti non farmacologici: riposo, qualche passeggiata, semplici accorgimenti dietetici (ad esempio: pasti piccoli e frequenti, evitando cibi speziati o particolarmente ricchi di grassi, ecc.). Se la nausea è tale da "imporre" il ricorso ai farmaci, sono disponibili principi attivi da prescrizione (es. Plasil) la cui sicurezza è ormai confermata da anni di impiego.
Dire che un farmaco è teratogeno non equivale a dire che certamente i possibili danni al feto si manifesteranno. Anzi, nella maggior parte dei casi non si manifesterà alcun danno e la gravidanza potrà seguire il suo corso normale, tenendo conto anche che esistono strumenti che consentono di controllare lo sviluppo del bambino con molta affidabilità.
Quasi sempre i foglietti illustrativi delle specialità medicinali riportano la controindicazione all'uso in gravidanza. Solo in alcuni casi, tuttavia, questa affermazione si basa sulle reali conoscenze che si hanno su quel farmaco; nella maggior parte dei casi la controindicazione viene posta proprio perché il farmaco non possiede una adeguata documentazione sull'impiego in gravidanza (o anche perché la ditta produttrice si vuole cautelare per qualsiasi evenienza!). Giova, perciò, ricordare che si tratta di una controindicazione "preventiva" che deve essere tenuta presente laddove, ad esempio, il medico si accinga ad impostare una nuova terapia in una donna che potrebbe rimanere incinta. Se però la terapia con quel farmaco fosse già in atto quando una donna si accorge di essere gravida (in realtà la situazione di gran lunga più frequente) la lettura di questa stessa controindicazione non deve gettare nel panico quasi fosse una dichiarazione di rischio certa per il nascituro. In questi casi è sempre buona norma affidarsi al consiglio di persone esperte [es. Telefono Rosso-Centro di Consulenza Prenatale (06-3050077), CRIF- Centro Regionale di Informazione sul Farmaco (02-39005070)o altri centri di documentazione sul farmaco]: in base alla documentazione scientifica disponibile, i consulenti potranno valutare la situazione nel suo complesso e quantificare il rischio reale che difficilmente sarà tale da giustificare la preoccupazione.