Ansia e insonnia: dimensioni e definizioni
Ansia e insonnia costituiscono un problema clinico rilevante nella pratica medica quotidiana1. I sintomi ansiosi sono infatti piuttosto comuni nella popolazione generale. Nei primi anni '80 una indagine epidemiologica condotta nella popolazione americana2 ha stimato una prevalenza del disturbo da ansia generalizzata del 6% circa, mentre il 3-4% soffriva di disturbo di panico, agorafobia e altre fobie. La prevalenza nelle donne risultava maggiore di circa due volte rispetto agli uomini. In Gran Bretagna si stima che il 15-20% dei pazienti che si rivolgono al medico di medicina generale soffra di disturbi d'ansia.
Per quanto riguarda i problemi legati alla difficoltà di addormentamento, ai risvegli precoci e, in generale, al riposo notturno percepito come non ristoratore, dati statunitensi hanno rilevato che, nel corso di un anno indice, oltre un terzo degli adulti intervistati ha sofferto di insonnia per periodi di tempo più o meno lunghi3. Stime analoghe sono state calcolate in Europa e, in Italia, uno studio condotto recentemente nel territorio di San Marino ha mostrato che la prevalenza/anno dei disturbi del sonno è di circa il 20%, con una frequenza più elevata nelle donne e negli anziani4.
Di solito l'insonnia viene riportata al medico di medicina generale come difficoltà di addormentamento, frequenti risvegli notturni, risvegli precoci al mattino e, in generale, come percezione di riposo non ristoratore. Una prima distinzione importante, di fronte ad una sintomatologia di questo tipo, è tra insonnia primaria e secondaria. L'insonnia primaria si verifica in soggetti che godono di un sostanziale benessere fisico e psichico, quella secondaria si riferisce invece alla presenza dell'insonnia come sintomo che coesiste con numerosi altri riferiti dal paziente. In questo secondo caso è necessario il riconoscimento e la gestione del disturbo sottostante, mentre nel primo caso (insonnia primaria) è necessario che il medico di medicina generale gestisca direttamente il problema rappresentato dal riposo notturno difficile. Il trattamento farmacologico, nell'insonnia primaria, deve sempre fare seguito agli interventi non farmacologici orientati ad una corretta igiene del sonno5.
L'ansia si caratterizza per la presenza di preoccupazioni eccessive. I soggetti ansiosi faticano a controllare le proprie preoccupazioni e vivono in una situazione che viene denominata "attesa ansiosa". Questa situazione, a sua volta, innesca sintomi quali irrequietezza, facile affaticabilità, difficoltà a concentrarsi, irritabilità e tensione muscolare. Molto spesso, ma non sempre, i soggetti riconoscono come eccessive le proprie preoccupazioni, tuttavia riferiscono anche l'impossibilità di controllarle. Come esito di questi sintomi si verifica di solito una progressiva compromissione del funzionamento familiare, sociale e lavorativo. Anche per l'ansia, come per l'insonnia, è necessario distinguere le situazioni in cui l'ansia rappresenti un sintomo di una patologia sottostante (sia fisica che psichica) o di una condotta di abuso (farmaci, alcool, droghe) (ansia secondaria), dalle situazioni in cui essa sia l'unica manifestazione psicopatologica, magari accompagnata dall'insonnia, con la quale molto spesso coesiste (ansia primaria). Secondo i criteri diagnostici attualmente utilizzati, se il disturbo ansioso primario persiste per almeno sei mesi è possibile formulare la diagnosi di disturbo d'ansia generalizzato. Anche per l'ansia il ricorso al trattamento farmacologico è indicato solamente quando questa interferisca in modo significativo con le normali attività della vita quotidiana.
Nonostante queste raccomandazioni, fondate essenzialmente sul buon senso, il ricorso all'utilizzo di benzodiazepine (BDZ) per problemi di ansia e insonnia è molto frequente in tutto il mondo. Uno studio condotto nello Stato di New York6 su una coorte di oltre 20.000 anziani ha evidenziato che il 20% di questa popolazione era in trattamento con BDZ. Nei paesi europei le stime sono analoghe: in Olanda7, in un campione composto da 13.500 soggetti, la frequenza d'uso di BDZ era del 10%. Dati simili sono stati raccolti in Spagna8, mentre in Italia l'uso di BDZ è stato studiato in un campione di soggetti in carico alla medicina generale distribuiti su tutto il territorio nazionale9. Circa il 10% dei pazienti seguiti dai medici di medicina generale era in terapia con BDZ. Determinanti d'uso sono risultati l'età avanzata, il sesso femminile e la presenza di problemi nel prendere sonno.
Questi dati testimoniano come la gestione farmacologica dell'ansia e dell'insonnia, nella pratica clinica quotidiana, consista essenzialmente nell'uso delle BDZ. Si tratta di farmaci efficaci, che funzionano "al bisogno", senza cioè alcuna latenza tra la somministrazione e l'insorgenza dell'effetto terapeutico. Sono farmaci tuttavia gravati da numerosi effetti collaterali, soprattutto quando assunti per lunghi periodi di tempo, quali per esempio sedazione diurna, diminuzione delle prestazioni cognitive, effetti rebound il giorno seguente l'assunzione, fenomeni di astinenza, dipendenza e tolleranza.
Per queste ragioni, negli ultimi anni sono stati studiati e proposti nuovi farmaci per il trattamento di ansia e insonnia. Il presente articolo si propone di analizzare il profilo di efficacia e tollerabilità delle possibili alternative alle BDZ nella gestione di ansia e insonnia, con il fine di valutare criticamente la possibilità di un loro utilizzo nella gestione quotidiana di questi problemi.
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Alternative all'uso delle benzodiazepine nell'insonnia
I farmaci ipnotici non benzodiazepinici disponibili in Italia sono:
zopiclone
zolpidem
zaleplon
Si tratta di molecole con un meccanismo di azione differente rispetto alle BDZ, caratterizzato da una maggiore selettività di azione. Infatti, sia lo zaleplon che lo zolpidem agiscono selettivamente sul recettore GABAA omega1, il sottotipo recettoriale probabilmente più direttamente coinvolto nel meccanismo del sonno, mentre lo zopiclone si lega ad un sito vicino al recettore GABAA.
Lo zopiclone appartiene alla classe dei ciclopirroloni; viene metabolizzato principalmente a livello epatico10. Negli studi di confronto col placebo, zopiclone è risultato efficace per quanto riguarda la riduzione del tempo di addormentamento, l'aumento del tempo totale di sonno e la riduzione del numero di risvegli notturni10. Gli studi clinici controllati (RCT) che hanno confrontato il profilo di efficacia e tollerabilità dello zopiclone rispetto a quello delle BDZ sono riassunti nella Tabella 1. Il numero di studi condotti, e di pazienti inclusi, è tutto sommato elevato (per lo meno per gli standard vigenti in questi ambiti della medicina), tuttavia si tratta di sperimentazioni che non hanno seguito i soggetti sofferenti di insonnia per lunghi periodi di tempo. Questi RCT non hanno evidenziato differenze in termini di tasso di risposta tra lo zopiclone e le BDZ a breve e lunga emivita; tuttavia, alcuni studi hanno documentato una latenza dì azione minore per le BDZ rispetto allo zopiclone.
Per quanto riguarda i dati di tollerabilità, rispetto alle BDZ a lunga emivita lo zopiclone sembrerebbe essere meno gravato dal rischio di sedazione diurna; rispetto alle BDZ a breve emivita i dati mostrano invece una sostanziale somiglianza di effetti residui il giorno dopo. Sono stati descritti fenomeni di sintomatologia rebound in seguito della sospensione del farmaco, di significato clinico poco chiaro: non è cioè del tutto noto se, come accade per le BDZ, l'uso prolungato di zopiclone possa associarsi al rischio che, alla sospensione del farmaco, si manifestino effetti rebound. L'assenza di evidenze è verosimilmente legata alla relativa brevità degli studi condotti, che non hanno superato le 6 settimane (Tabella 1).
Lo zolpidem appartiene alla classe delle imidazolopiridine. Il farmaco subisce un metabolismo principalmente epatico. Lo zolpidem è stato studiato in RCT di confronto con BDZ (Tabella 2) e con zaleplon (Tabella 3). Complessivamente lo zolpidem è risultato di efficacia simile alle BDZ a lunga e breve emivita come flunitrazepam, flurazepam, nitrazepam e triazolam ed ha anche mostrato una efficacia superiore negli adulti rispetto a temazepam. Da notare tuttavia che nitrazepam e flurazepam sono risultati più efficaci sulla qualità del sonno in 2 studi, mentre su questo stesso parametro le BDZ a breve emivita sono risultate meno efficaci dello zolpidem. Rispetto allo zaleplon, non sono emerse differenze significative.
Il profilo di tollerabilità risulta paragonabile a quello delle BDZ sia negli adulti che negli anziani. Gli effetti collaterali e gli effetti psicomotori residui sono dose-correlati3. Non sono stati evidenziati significativi fenomeni di insonnia rebound, né fenomeni di dipendenza e tolleranza, anche se questi rischi non sono stati ancora studiati in popolazioni di soggetti seguiti per periodi prolungati di tempo3.
Il terzo farmaco ipnotico non benzodiazepinico, lo zaleplon, appartiene alla classe delle pirazolopirimidine. Lo zaleplon ha una caratteristica farmacocinetica peculiare: un'emivita brevissima di un'ora solamente. La via di eliminazione è prevalentemente epatica11. Esistono pochi studi di efficacia e tollerabilità: nessuno studio ha paragonato lo zaleplon alle BDZ. La caratteristica del farmaco sembra essere quella di ridurre il tempo di addormentamento3. Gli unici studi clinici randomizzati esistenti hanno paragonato lo zaleplon allo zolpidem in soggetti con insonnia (Tabella 3). Non sono emerse differenze rilevanti fra i due farmaci, tuttavia lo zaleplon è apparso poco efficace o del tutto inefficace nel ridurre il numero di risvegli notturni, sia negli adulti che negli anziani; è risultato invece efficace nell'indurre il sonno. La probabilità di effetti psicomotori residui il giorno dopo appare bassa; zaleplon non sembra alterare, a dosaggi terapeutici, l'architettura del sonno. Non è possibile esprimere giudizi sugli effetti a lungo termine di zaleplon, a causa della durata troppo breve degli studi e dell'assenza di dati di confronto con le BDZ.
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Alternative all'uso delle benzodiazepine nell'ansia
I farmaci non benzodiazepinici oggetto di studio nel trattamento delle sindromi ansiose sono:
venlafaxina (antidepressivo)
buspirone (ansiolitico non-BDZ)
paroxetina (antidepressivo)
imipramina (antidepressivo)
idrossizina (antistaminico)
La venlafaxina è un farmaco antidepressivo con un meccanismo d'azione di inibizione del reuptake di serotonina e di noradrenalina. Ha un'emivita di 15 ore circa, e raggiunge un picco plasmatico più tardivamente12. Negli ultimi anni sono stati pubblicati alcuni studi in cui la formulazione di venlafaxina a lento rilascio (denominata XR) è stata proposta come farmaco nella terapia dell'ansia. Inizialmente studiata in pazienti con ansia mista a depressione, ne è stato esteso successivamente lo studio anche ai soggetti che soddisfacevano i criteri diagnostici di disturbo d'ansia generalizzato senza sintomi depressivi. Questi studi hanno confrontato la venlafaxina XR al placebo e/o al buspirone in soggetti ansiosi seguiti per un massimo di 8 settimane; vi sono inoltre due studi a lungo termine (6 mesi) dove la venlafaxina XR è stata comparata al placebo (Tabella 4). Negli studi a breve termine le percentuali di soggetti che miglioravano erano maggiori nei trattati con la venlafaxina rispetto a placebo e buspirone. Gli studi a lungo termine sembrano confermare queste stime di risposta anche al sesto mese di trattamento.
Non esistono RCT che abbiano confrontato la venlafaxina con le BDZ in soggetti ansiosi. I principali effetti indesiderati della venlafaxina sono elencati nella Tabella 5. Un effetto collaterale da segnalare è l'ipertensione arteriosa; è pertanto necessaria cautela nel somministrare veniafaxina XR ai soggetti con questo tipo di problema. La venlafaxina è registrata per il trattamento del disturbo d'ansia generalizzato negli Stati Uniti, ma non in Italia.
Il buspirone è un farmaco ansiolitico non benzodiazepinico, appartenente alla categoria degli azapironi. La principale azione è quella di agonista parziale serotoninergico, in particolare sui recettori 5-HT1A L'emivita è di 4-28 ore. L'assorbimento completo per via orale avviene a stomaco pieno12.
L'efficacia nell'ansia è stata testata in studi di confronto col placebo e con le BDZ13. Rispetto al placebo, il buspirone è associato ad un più alto tasso di risposta nei soggetti con disturbo da ansia generalizzata. Nei confronti delle BDZ, gli studi clinici randomizzati condotti non sono stati in grado di mettere in evidenza differenze significative13. Rispetto alle BDZ, tuttavia, l'insorgenza dell'effetto ansiolitico è più tardiva, manifestandosi infatti solo dopo 8-10 giorni di trattamento. Tale farmaco non sembra quindi adatto al controllo degli stati di ansia acuti12, piuttosto appare indicato nei casi in cui si prevede una somministrazione prolungata il buspirone sembra infatti consentire una performance cognitiva e psicomotoria sul lungo periodo migliore delle BDZ.
La paroxetina è un farmaco antidepressivo che agisce come inibitore selettivo del reuptake della serotonina (SSRI). Ha un'emivita di 20 ore circa. È stata originariamente utilizzata come antidepressivo, poi ne è stato esteso l'uso al trattamento del disturbo da attacchi di panico e del disturbo ossessivo-compulsivo. Nel 1997 è stato portato a termine il primo studio clinico randomizzato che valutava gli effetti della paroxetina nei pazienti ansiosi14. Lo studio, della durata di 8 settimane, comparava la paroxetina con l'imipramina e con il clordemetildiazepam. I principali indicatori di esito considerati erano i punteggi alla scala di Hamilton per l'ansia (HAM-A) e quelli alla Clinical Global Impression (CGI). Sono stati esaminati 81 pazienti in totale. Dallo studio emergeva che il clordemetildiazepam produceva risultati migliori della paroxetina a 2 settimane, mentre dalla quarta settimana in avanti la paroxetina e l'imipramina risultavano più efficaci del clordemetildiazepam alla scala HAM-A. L'andamento era grosso modo simile per quanto riguarda gli altri indicatori di esito. I principali effetti collaterali della paroxetina sono elencati nella Tabella 5. La paroxetina non è registrata in Italia per il trattamento dell'ansia.
L'imipramina appartiene alla categoria degli antidepressivi triciclici (TCA). Agisce sul reuptake della serotonina e, in misura minore, della noradrenalina. Un suo metabolita attivo, la desipramina, interferisce principalmente con la ricaptazione della noradrenalina12. L'emivita dell'imipramina è di 8-20 ore, mentre quella della desipramina è di 20-30 ore. Già negli anni '80 uno studio clinico che confrontava l'imipramina con il clordiazepossido15 aveva suggerito un possibile ruolo dell'imipramina come ansiolitico, con un effetto che si manifestava soprattutto a lungo termine. Due RCT hanno comparato l'imipramina con BDZ. Nel primo16, condotto in doppio cieco, l'imipramina è stata confrontata con l'alprazolam. Lo studio non ha messo in evidenza grosse differenze; tuttavia l'imipramina, come era prevedibile, si è dimostrata più efficace nel ridurre la depressione associata ad ansia, l'ossessività, i sintomi somatici e i sintomi da iperarousal. Il secondo studio17, della durata di 8 settimane, ha confrontato l'imipramina con il diazepam e il trazodone. L'imipramina si è rivelata più efficace del diazepam dopo 6-8 settimane di terapia, soprattutto su sintomi quali tensione, apprensione, preoccupazione; il diazepam è risultato invece più efficace nel breve periodo (prime 2 settimane di trattamento) e sui sintomi somatici dell'ansia. Il trazodone ha evidenziato un profilo simile all'imipramina. L'imipramina non è registrata in Italia per il trattamento dell'ansia.
Una recente rassegna della letteratura ha infine riproposto e discusso l'utilizzo dell'idrossizina nella terapia dell'ansia18. L'idrossizina è un antistaminico antagonista H1, con un effetto antagonista in minor misura anche sui recettori 5-HT2, alfa-1 e D2. Viene usata in dermatologia nel trattamento del prurito. La sua efficacia come ansiolitico è stata testata in alcuni RCT condotti negli anni '60 e '70, dove è stata comparata a placebo e ad altri farmaci, tra cui alcune BDZ. Due studi recenti hanno ulteriormente testato il profilo di efficacia di questa molecola nel trattamento dell'ansia. Il primo19, della durata di 4 settimane, in doppio cieco, su 110 pazienti, ha confrontato l'idrossizina col placebo. Lo studio ha evidenziato una certa efficacia dell'idrossizina rispetto al placebo, per lo meno utilizzando i punteggi alla scala HAM-A per l'ansia. In un secondo studio20, sempre condotto in condizioni di doppia cecità e randomizzato, l'idrossizina è stata comparata a buspirone e placebo. Lo studio è stato condotto su 244 pazienti con disturbo da ansia generalizzata. L'idrossizina non ha evidenziato particolari vantaggi rispetto al buspirone. I principali effetti collaterali sono elencati nella Tabella 5. L'idrossizina è registrata in Italia per il trattamento a breve termine degli stati ansiosi.
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Discussione
La ricerca e lo studio di farmaci che possano rappresentare una valida alternativa all'utilizzo delle BDZ nella gestione dei problemi d'ansia e di insonnia è motivata dai rischi che l'assunzione, soprattutto prolungata, delle BDZ comporta. Questi rischi hanno stimolato in alcuni paesi lo sviluppo di politiche di sanità pubblica volte a ridurre progressivamente l'uso di questi farmaci. In Gran Bretagna, dal 1979 al 1990 tali politiche hanno prodotto una drastica diminuzione del numero di prescrizioni di BDZ, passato da 31 a 18 milioni circa21. Nel 1997, dati provenienti da una coorte di quasi 126.000 soggetti in carico alla medicina generale inglese hanno fornito stime di prevalenza d'uso di BDZ dell' 1,9%22. Queste stime sono state successivamente confermate in una popolazione urbana ultra sessantacinquenne seguita longitudinalmente per quasi 10 anni: la frequenza d'uso delle BDZ è rimasta grosso modo stabile nel periodo considerato, attestandosi a valori piuttosto bassi, attorno al 2,5%23. Il successo di tale campagna ha stimolato la realizzazione di iniziative simili in altri Paesi che, in molti casi, hanno prodotto una diminuzione della frequenza d'uso delle BDZ24-26.
Le indicazioni provenienti dalla Gran Bretagna si orientano quindi ad evitare l'utilizzo di BDZ. Naturalmente, il problema non è tanto quello di scoraggiare l'utilizzo di una classe di farmaci, quanto quello di suggerire altre strategie di gestione e trattamento di problemi che evidentemente continuano ad essere presenti. In effetti il rischio che la diminuzione delle prescrizioni di BDZ si associ ad un aumento nella prescrizione di altri farmaci che, teoricamente, potrebbero avere un profilo di tollerabilità anche peggiore di quello delle BDZ stesse è ben documentato. Negli Stati Uniti è stato studiato l'impatto di una norma che regolava l'utilizzo delle BDZ negli anziani. Nel periodo di tempo considerato, gli autori hanno osservato una riduzione della frequenza d'uso delle BDZ, passata dal 22% al 15%6. Tale dato, tuttavia, si accompagnava ad un parallelo aumento nelle prescrizioni di altri composti, quali meprobamato, buspirone, antidepressivi, barbiturici ed altri ancora. Chiaramente, il vantaggio di usare questi farmaci rispetto ad un trattamento con BDZ rimane tutto da dimostrare. In Germania negli ultimi 10 anni si è pure assistito ad un progressivo calo delle prescrizioni di BDZ, tuttavia esso appare ampiamente compensato dall'aumento di vendita di altri psicofarmaci27. Nella stessa Inghilterra la diminuzione d'uso delle BDZ si sta accompagnando ad un incremento progressivo nelle vendite di farmaci antidepressivi; secondo stime recenti, infatti, i medici di medicina generale anglosassoni spendono annualmente circa 160 milioni di sterline per questi farmaci28,29. Questo, d'altra parte, è perfettamente atteso e spiegato, se si pensa che le raccomandazioni pratiche evidence-based degli anglosassoni suggeriscono di non prescrivere BDZ nell'ansia e di utilizzare farmaci quali il buspirone e gli antidepressivi13.
I medici di medicina generale, in effetti, hanno delle 'attese' rispetto alle alternative alle BDZ nella gestione di ansia e insonnia. I dati della letteratura riassunti in questa rassegna hanno messo in evidenza ciò che gli studi clinici randomizzati hanno 'osservato' (Tabella 6). Una attesa importante è quella di avere farmaci con meno effetti collaterali. Alcuni dei nuovi farmaci, gli ipnotici non-BDZ per esempio, hanno dimostrato alcuni vantaggi in termini di performance psicomotoria; tuttavia rimane ancora inesplorato l'effetto a lungo termine di questi composti. Per gli antidepressivi, la venlafaxina per esempio, addirittura non esistono studi che abbiano cercato di capire i possibili vantaggi di questo farmaco rispetto allo standard, le BDZ appunto. Oppure lo zaleplon, nuovo ipnoinducente la cui efficacia nei soggetti che soffrono di insonnia non è stata mai studiata rispetto alle BDZ, che rimangono, evidentemente, Io standard di riferimento. Ma l'attesa è proprio di avere dei farmaci che sono "meglio", in termini di efficacia o effetti collaterali, e solo gli studi comparativi possono produrre osservazioni rispetto a questa attesa. Così anche per tutte le altre attese, fra cui soprattutto quella di avere composti che, alla sospensione, non provochino sintomi rebound, che non determinino cioè una crisi di astinenza come purtroppo si può verificare con le BDZ. Paradossalmente l'alternativa alle BDZ che viene proposta, gli antidepressivi SSRI, sono farmaci che possono provocare proprio questo tipo di problemi alla sospensione, come ormai è ampiamente documentato in letteratura dalle numerose segnalazioni dei medici prescrittori di tutto il mondo30. Da ultimo, nessuna osservazione è disponibile rispetto alla attesa di farmaci alternativi alle BDZ utilizzabili nei soggetti in cui queste ultime non si possono prescrivere, perché hanno troppi effetti collaterali, perché c'è la tendenza all'abuso, oppure perché i pazienti sono anziani e il rischio di cadute è elevato.
Come sempre capita di fronte alla mancanza di conoscenze, è possibile procedere in due modi diametralmente opposti. Il primo è quello di aspettare le conoscenze e, nel frattempo, procedere casualmente. Il secondo è quello di produrre conoscenze. Questo dovrebbe avvenire avendo in mente alcune priorità. Probabilmente, per i medici di medicina generale, produrre dati di efficacia e tollerabilità sui farmaci che possono essere impiegati in alternativa alle BDZ non è una priorità. Probabilmente però potrebbe rappresentare una priorità sapere quanti sono, tra i propri pazienti, quelli che assumono BDZ in modo cronico e che presentano, forse, dei rischi dovuti all'età avanzata, al contemporaneo uso di altri farmaci, alla presenza di altre malattie o problemi. Ormai i medici di medicina generale archiviano le informazioni cliniche in modo computerizzato, e usare questi archivi per documentare e tracciare le storie dei propri pazienti sembra un uso utile e proficuo del lavoro clinico quotidiano. Se poi molti medici si organizzano e interrogano i propri archivi in modo simile, la generalizzabilità e la forza delle informazioni prodotte viene ad accrescersi enormemente31 consentendo di superare la fase di perenne 'attesa' delle evidenze e di mettersi finalmente in gioco nella produzione diretta di 'osservazioni'.
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