L'uso dell'aglio nella medicina popolare ha una lunga tradizione. La prima segnalazione scritta risale a 3.500 anni fa, nel codice Ebers dell'antico Egitto. Nei secoli gli sono state attribuite le proprietà terapeutiche più svariate ed il suo utilizzo ha spaziato dalle malattie cardiache alle elmintiasi alle infezioni, solo per citarne alcune. Ancora oggi l'aglio viene usato spesso, confidando nelle sue presunte proprietà terapeutiche, sia sottoforma di aglio fresco sia di derivati, come l'olio o le formulazioni in polvere contenenti quantitativi diversi di prodotto essiccato.
Nel corso degli ultimi anni si è cercato di dare una base di scientificità alla "fama" dell'aglio attraverso studi condotti soprattutto in ambito cardiovascolare (come ipocolesterolemizzante, antiaggregante piastrinico e come antiipertensivo). Le numerose carenze di carattere metodologico di questi studi ne rendono, tuttavia, poco attendibili i risultati. Fra queste, la più evidente è la disomogeneità dei prodotti utilizzati: in alcuni studi è stato impiegato aglio fresco (in cui il contenuto di allina - il "principio attivo" - può variare da uno a dieci volte), in altri sono state impiegate formulazioni allestite con estratti della pianta ottenuti con metodi diversi in cui il contenuto di principi attivi varia in base al processo di allestimento (parte, ad esempio, può andare persa usando la distillazione a vapore o solventi). Alla diversa biodisponibilità dei prodotti si aggiunge una non sempre appropriata randomizzazione, il numero limitato di pazienti trattati, la mancata valutazione della compliance e l'assenza di cecità, anche se va riconosciuta una obiettiva difficoltà nel condurre studi metodologicamente corretti con prodotti di questo tipo. Come ottenere, ad esempio, la "cecità" quando si deve somministrare al paziente aglio fresco? Nonostante la fiducia che molte persone ripongono in questo rimedio, la scarsa attendibilità dei risultati ottenuti in questi studi rende ragione dello scetticismo nei confronti della reale efficacia dell'aglio.
Una ulteriore conferma in senso negativo è la recente pubblicazione, su Archives of Internal Medicine, dei risultati di uno studio condotto da un gruppo di ricercatori dell'Università di Stanford in California con l'obiettivo di verificare gli effetti dell'aglio fresco e di due supplementi con formulazione diversa, sulla concentrazione dei lipidi plasmatici di soggetti adulti con ipercolesterolemia moderata. Lo studio, adeguato per durata, numerosità e caratteristiche del campione arruolato (192 adulti con età compresa tra 30 e 65 anni, con livelli ematici di colesterolo moderatamente elevati) ha randomizzato i pazienti ad assumere aglio fresco (49 pazienti), aglio in polvere sottoforma di due integratori (47 e 48 pazienti) e placebo (49 pazienti) per 6 giorni alla settimana per 6 mesi. Nessuna delle formulazioni di aglio ha prodotto effetti significativi sui livelli dei lipidi plasmatici (LDL, HDL, trigliceridi e colesterolo totale). Anche se gli stessi autori affermano che questi risultati non possono essere estesi a tutta la popolazione e non sono in grado di affermare se dosaggi diversi avrebbero potuto produrre risultati migliori, suggeriscono ai medici di avvisare i loro pazienti che è del tutto improbabile che l'assunzione di aglio o derivati possa influenzare il loro profilo lipidico. L'unica cosa certa e rassicurante è il profilo degli effetti indesiderati, fatta salva l'alitosi.