Recentemente, ad un paziente diabetico è stata prescritta, da parte di un centro specialistico, l'applicazione di Targosid polvere liofilizzata direttamente su un'ulcera alla gamba. Ha un razionale questa modalità di impiego del farmaco e, più in generale, esistono dati sull'utilizzo topico di antibiotici su ulcere o ferite?
La fama che gli antibiotici si sono creati negli anni, di farmaci sicuri ed efficaci, deve essere tale da far pensare che possano esercitare effetti benefici anche laddove la loro utilità non è provata. Il condizionamento psicologico è forte se è vero, com'è vero, che è ancora diffusa l'abitudine di impiegarli topicamente, quasi che nei vari distretti cutanei di volta in volta interessati gli antibiotici possano esercitare quella sorta di "onnipotenza terapeutica" a tutto campo di cui alcuni medici li ritengono capaci. Il riferimento non è alle formulazioni topiche già predefinite e tradizionalmente impiegate nel trattamento dell'acne o dell'impetigo (es. eritromicina, clindamicina, mupirocina), della rosacea o delle ferite fungoidi maleodoranti (metronidazolo), ma all'applicazione locale di antibiotici in fiale destinati ad un uso sistemico. La segnalazione di un utilizzo di antibiotici come la teicoplanina o la gentamicina sulle ulcere da decubito, sulle ulcere venose alle gambe o sulle ferite in pazienti "difficili" (diabetici, anziani) non è la prima che giunge in redazione; altre l'hanno preceduta in passato. La decisione di pubblicare questo quesito deriva dalla constatazione che non si tratta, come pensavamo, di una memoria storica, ma di un presente che merita una puntualizzazione critica.
Gli antibiotici non servono
Un errore di valutazione che spesso si commette è quello di ritenere che le ferite e le ulcere da decubito possano guarire solo in condizioni di sterilità. In realtà, la colonizzazione da parte di un numero modesto di batteri è del tutto normale e non ritarda la guarigione. E' dimostrato che il trattamento routinario di queste ferite con antibiotici per via sistemica non accelera la loro guarigione, ragione per cui non si vede come l'impiego topico possa sortire effetti migliori.
D'altronde, in caso di infezione documentata, l'antibiotico deve essere somministrato per via sistemica e non può essere ovviamente sostituito con un antibiotico topico né con un antisettico.
Oltre che dalle condizioni generali del paziente, la guarigione di una ferita dipende dalla presenza di materiale necrotico (lo strato viscido giallo di fibrina, pus e cellule morte) che ritarda la guarigione e predispone la ferita all'infezione. Per mantenere pulita la ferita è sufficiente detergerla con soluzione fisiologica che asporta batteri e cellule morte. Se l'irrigazione deve essere ripetuta nel tempo, è consigliabile riscaldare leggermente la soluzione dal momento che il freddo ritarda la guarigione e una ferita può impiegare diverse ore prima di ritornare a temperatura normale dopo essere stata irrigata con una soluzione fredda. Se la ferita risulta momentaneamente sporca (feci, urine) o contiene abbondante tessuto necrotico si può impiegare un antisettico come la clorexidina, ad una concentrazione che riduca la carica batterica senza danneggiare i tessuti (es. 0,05%), dando la preferenza alla confezione monodose. Non esiste nessuno studio clinico controllato che, per questo uso, abbia dimostrato la superiorità degli antibiotici sugli antisettici. L'uso protratto di antisettici ha un effetto citotossico e ritarda la guarigione e va, pertanto, evitato.
Quando la ferita produce un essudato purulento e sono presenti almeno due segni di infiammazione (arrossamento, infiltrazione, dolore, sensibilità al tatto, calore) o sintomi generali (es. febbre, malessere) va sospettata una infezione. Condizione indispensabile per una efficace eradicazione dell'infezione è una toeletta chirurgica che consenta di drenare il pus, pulire la ferita adeguatamente o ripristinare la vascolarizzazione. In caso di infezione può essere necessario il ricorso ad un antibiotico sistemico. All'inizio, l'antibiotico deve essere scelto in modo empirico per essere poi eventualmente cambiato in funzione dei risultati dell'antibiogramma e della risposta clinica. Le ulcere superficiali più lievi possono essere trattate con un antibiotico orale (somministrato per 7-10 giorni) in regime ambulatoriale. In studi clinici controllati, randomizzati, la monoterapia con cefalexina o clindamicina si è dimostrata efficace. In caso di non risposta (e solo in questo caso), si deve procedere all'esame colturale; poiché la parte superficiale di un'ulcera è sempre colonizzata da microrganismi saprofiti e un semplice "tampone" superficiale fornisce indicazioni fuorvianti, i campioni di tessuto destinati all'antibiogramma devono essere prelevati alla base dell'ulcera dopo una toeletta chirurgica.
.........e possono causare effetti indesiderati
L'impiego topico di antibiotici non solo è inutile, ma può avere conseguenze negative, alcune direttamente osservabili come la formazione di croste con le polveri e le dermatiti allergiche da contatto (gli antibiotici sono agenti sensibilizzanti) o, altre meno tangibili, ma per questo non meno gravi per le conseguenze sull'ecosistema batterico, come la rapida comparsa di resistenze batteriche. Il problema si presenta con tutti gli antibiotici applicati sulla cute e le mucose, ma assume una rilevanza clinica del tutto particolare per quelli che vengono somministrati per via sistemica. Questo rischio, che gli infettivologi ben conoscono e temono, è, però, talmente remoto da non rappresentare un motivo di dissuasione sufficiente per abbandonare una abitudine empirica e inutile.
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