L’epatite B cronica è un’infezione persistente da HBV rilevabile dalla presenza degli antigeni di superficie dell’HBV (HBsAg) nel siero per più di 6 mesi. A livello mondiale si stima che circa 240 milioni siano affetti da virus dell’epatite B2,3. Nel corso degli anni si è assistito tuttavia ad un decremento dei pazienti affetti da epatite B cronica in seguito ai programmi di vaccinazione4, anche se i movimenti migratori stanno modificando la prevalenza e l’incidenza in diversi paesi europei. In questi pazienti il rischio di complicanze nel corso della vita, compreso il carcinoma epatocellulare e la cirrosi, è di circa il 15-40%5,6. Rappresenta inoltre la quindicesima causa di decesso e la seconda causa di morte per tumore7. L’obiettivo principale della terapia farmacologica è rappresentato dalla riduzione della mortalità e dal miglioramento della qualità di vita prevenendo la progressione della malattia e, di conseguenza, lo sviluppo dell’epatocarcinoma. Questo obiettivo può essere perseguito grazie al controllo della replicazione virale.
linico esperto nel trattamento dell’epatite B cronica.Tenofovir alafenamide fumarato (TAF) è un profarmaco del tenofovir, indicato per il trattamento dell’epatite B cronica. Nei due studi registrativi di 48 settimane TAF ha dimostrato la non inferiorità rispetto a tenofovir disoproxil fumarate (TDF) per quanto concerne la risposta virologica sia nei pazienti HBeAg-positivi sia in quelli negativi. L’elevato tasso di soppressione virale è stato mantenuto anche dopo 96 settimane di trattamento. Inoltre nei pazienti trattati con TAF vi sono stati miglioramenti sia della densità minerale ossea che della funzione renale, rispetto ai trattati con TDF. Non è ancora chiaro tuttavia se le piccole differenze riscontrate nei parametri ossei e renali siano clinicamente rilevanti. Rimane inoltre da chiarire l’effetto di TAF sulla eGFR e sulla creatinina nel tempo, soprattutto nei pazienti con comorbidità e insufficienza renale cronica. Sembra prematuro ritenere che TAF sia più sicuro in termini di funzionalità renale soprattutto nei pazienti HBeAg-negativi dopo un anno di terapia. È un farmaco generalmente ben tollerato, i cui più comuni eventi avversi sono rappresentati da: cefalea, affaticamento e nausea. L’efficacia antivirale, simile a quella di TDF, è stata tuttavia raggiunta ad un dosaggio inferiore grazie alla maggiore stabilità plasmatica che ne determina una maggiore efficienza nel rilascio agli epatociti. La minore concentrazione plasmatica dovrebbe tradursi in una migliore sicurezza con un uso prolungato soprattutto a livello osseo e renale. Solo l’utilizzo a lungo termine potrà tuttavia chiarire tali aspetti.
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