
Infine l’ente regolatorio non dovrebbe approvare farmaci la cui efficacia sia dubbia come ad esempio un farmaco approvato con un solo studio, spesso di fase 2, condotto utilizzando un endpoint surrogato; oppure non approvare farmaci con differenze tra due trattamenti statisticamente significative ma clinicamente poco o per nulla rilevanti rispetto al trattamento standard o al non trattamento (regorafenib, +1,4 mesi, TAS-102, +1,8 mesi, ramucirumab +1,6 mesi nel ca colonretto metastatico, ramucirumab, +1,4 mesi nel ca polmone non microcitoma, nintedanib +1,0 mesi nel ca polmone non microcitoma, etc.) o sulla base di analisi per sottogruppi. Clamorosa da questo punto di vista è stata l’approvazione del pemetrexed nel ca polmone non microcitoma metastatico20. Lo studio registrativo era uno studio di non inferiorità che confrontava il cisplatino associato al pemetrexed rispetto alla combinazione di cisplatino e gemcitabina. Con ambedue i trattamenti si otteneva una OS di 10,3 mesi per cui la conclusione dello studio era che il pemetrexed non era inferiore alla gemcitabina. Di 19 analisi per sottogruppi pianificate una prevedeva di valutare l’impatto dei trattamenti in base al tipo istologico: l’analisi per sottogruppi dimostrava che il pemetrexed era superiore alla gemcitabina negli adenocarcinomi (+ 1,7 mesi, P = 0,03). Purtroppo l’analisi non era aggiustata per confronti multipli in base alla disuguaglianza di Bonferroni, perché in tal caso la differenza non sarebbe stata significativa. Inoltre la PFS non era diversa tra i due trattamenti e la probabilità che una differenza di 1,7 mesi di OS non alteri la PFS cade al di fuori del 95% dell’intervallo di confidenza della relazione tra PFS e OS. Quindi ci sembra altamente probabile che la differenza osservata tra pemetrexed e gemcitabina fosse dovuta al caso.