Esiste un consenso diffuso sul fatto che questi farmaci debbano essere riservati ad alcune situazioni non controllabili, somministrati per tempi limitati e dopo essere ricorsi ad altri trattamenti non farmacologici1,2. I problemi ed i rischi legati a queste terapie sono iper-noti e documentati. Eppure si continua a documentare con desolante ripetitività, che queste molecole continuano ad essere ampiamente utilizzate, dal 12 al 59% dei pazienti con demenza3. È noto che questi trattamenti potrebbero essere sospesi senza problemi e che assieme ai criteri di prescrizione si dovrebbero introdurre criteri per la loro sospensione e la loro somministrazione dovrebbe essere limitata a sottogruppi di pazienti che ne hanno effettivamente bisogno4.
Esistono più di 600 farmaci con effetti anticolinergici4. Nonostante gli effetti collaterali dei farmaci anticolinergici siano noti e documentati5, le conoscenze degli operatori sono scarse. In uno studio su 96 operatori sanitari (medici e infermieri) che lavoravano in urologia, geriatria e sul territorio, avevano le conoscenze più elevate i nurse practitioner, seguite dagli urologi. Le conoscenze erano comunque basse6. Uno studio inglese ha documentato un aumento delle prescrizioni di farmaci con effetti anticolinergici7 e dato che possono avere effetti cumulativi, il problema diventa rilevante per la sicurezza dei pazienti. Non c’è una vera domanda di ricerca, pur in presenza di un problema importante (ADR), sul quale sono stati scritti numerosi articoli. La domanda riguarda piuttosto le strategie organizzative e i cambiamenti di pratiche da attivare per garantire la sicurezza dei pazienti, di cui anche gli infermieri sono responsabili.
Si tratta di un problema “antico”, noto, e per il quale esistono già numerosi rimedi e indicazioni che spingono all’uso dei farmaci come ultima risorsa1 “Il futuro del trattamento dell’insonnia dovrebbe concentrarsi su interventi non farmacologici, sul trattamento delle comorbidità e sull’uso di terapie quali le benzodiazepine e i non-BzRAs (agonisti dei recettori non benzodiazepinici: zaleplon, zolpidem e zopiclone), come ultima risorsa”2. I disturbi del sonno si presentano in modo diverso (difficoltà ad addormentarsi, limitata durata del sonno, risvegli notturni, sonnolenza durante il giorno) e dovrebbero essere trattati in modo diverso. Purtroppo gli ipnoinducenti vengono prescritti come risorsa importante per la gestione del sonno, anche perché è complesso disassuefare una persona che è già abituata ad assumerli. La prescrizione di molti farmaci “passa” anche attraverso la segnalazione degli infermieri. Lavori qualitativi (quindi su campioni limitati) mettono in luce la scarsa conoscenza di chi prescrive (ma probabilmente i risultati potrebbero essere estesi anche a chi somministra questi farmaci)3. Gli interventi educativi per controllare la prescrizione sono stati fatti prevalentemente sui medici (e sulla popolazione)4. Anche in questo caso, le vere domande di ricerca riguardano le strategie e le condizioni su come modificare le pratiche correnti e applicare alla pratica le indicazioni/raccomandazioni della ricerca.
È noto che la prevalenza della stipsi aumenta con l’età (ne è affetto il 50% degli ultra ottantenni1). In uno studio svedese su 2.970 ospiti di RSA ne era affetto il 67%2. Negli anziani il problema principale è lo sforzo nella defecazione e la riduzione della frequenza delle evacuazioni; è stata valutata l’efficacia dell’uso degli osmotici (polietilenglicole e lattulosio) ma non ci sono indicazioni sufficienti per l’uso degli agenti formanti massa, emollienti, stimolanti e procinetici3. Le raccomandazioni (di buon senso) sono quelle di raccogliere l’anamnesi, per descrivere i sintomi e segni di eventuali cause secondarie; rivedere le terapie per ridurre la dose e dove possibile sostituire i farmaci con un eventuale effetto costipante3. I farmaci disponibili non sono equivalenti, hanno diversi meccanismi di azione, effetti e profilo beneficio/rischio e mancano studi che ne abbiano confrontato gli effetti, anche se vengono prescritti per le stesse indicazioni; si deve tenere anche conto se l’uso è occasionale o cronico4. È noto che la risposta dei pazienti è eterogenea: in genere i pazienti non sono soddisfatti né dell’efficacia delle fibre, ma nemmeno della capacità dei lassativi classici di risolvere il problema e i sintomi correlati4.
Non si sa con certezza quali interventi siano efficaci per cercare di ottimizzare le terapie in RSA3. La presenza di farmaci inappropriati è un problema noto e diffuso1-2, non solo in Italia3-4 e i pazienti in RSA sono più a rischio di ricevere farmaci inappropriati1. Le classi di farmaci “incriminate” e la cui prescrizione dovrebbe essere ridotta sono le benzodiazepine, gli antipsicotici atipici, le statine, gli antidepressivi triciclici e gli inibitori di pompa protonica5. Documentare anche a livello locale cosa viene fatto, quali sono i farmaci inappropriati secondo il giudizio degli operatori e secondo i diversi sistemi di valutazione di inappropriatezza può essere utile per allertare l’attenzione e valutare se e quali farmaci sono realmente inappropriati, quali potrebbero essere sospesi o sostituiti con altri farmaci; quali sostituiti da interventi non farmacologici e a quali condizioni. Produrre un’epidemiologia delle risposte non farmacologiche a problemi trattati con farmaci, e della loro applicabilità ed efficacia sarebbe una ricerca importante non solo per gli ospiti di RSA (vedi ad esempio la gestione della stipsi, del sonno, dei disturbi comportamentali….), ma metterebbe l’infermiere al centro della gestione del paziente con un ruolo attivo e propositivo, e non prevalentemente di distributore di terapie.