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Le linee guida americane (JNC 7) differiscono dalla versione precedente per l'introduzione di una nuova categoria, denominata "pre-ipertensione" e l'accorpamento degli stadi 2 e 3 in un unico stadio. La nuova classificazione deriva dall'assunzione che la relazione tra l'incremento della PA e l'aumento del rischio CV è continua ed indipendente da altri fattori di rischio: nei soggetti di età compresa tra 40 e 70 anni, ogni aumento di 20 mmHg della pressione sistolica o di 10 mmHg della diastolica raddoppia il rischio CV, già a partire da valori di 115/75 mmHg. Le linee guida americane sottolineano che i soggetti pre-ipertesi non necessitano di trattamento farmacologico: questa condizione può essere adeguatamente gestita con modifiche delle abitudini di vita. Un'eccezione è rappresentata dai pazienti con nefropatia o diabete, per i quali il target pressorio è inferiore a 130/80 mmHg. | |
Le linee guida europee, riprendendo la classificazione dell'OMS (1999), fanno propria una visione più complessa del rischio cardiovascolare, nella quale la PA è solo uno dei fattori che concorrono a determinare il rischio individuale. Per questo motivo, la categoria pressoria "normale - alta" include valori considerati "elevati" in soggetti ad alto rischio ed invece accettabili in soggetti con un rischio individuale basso. |
A differenza di quello europeo, il documento americano prevede nella classificazione della PA una categoria di soggetti "pre-ipertesi", per i quali la modifica delle abitudini di vita è l'unica misura raccomandata. |
Le linee guida USA considerano l'incremento della PA come un fattore indipendente da altri fattori di rischio; ne deriva che il trattamento farmacologico è previsto per tutti i soggetti con PA >140/90 mmHg (>130/80 mmHg se diabetici o nefropatici). | |
Le linee guida europee operano una valutazione complessiva del rischio cardiovascolare, basata sulla presenza di altri fattori di rischio (oltre all'ipertensione), di danno d'organo, di diabete e di altre patologie associate e prevedono la stratificazione dei soggetti in 3 categorie di rischio (vedi Tabella). La decisione se intraprendere o meno la terapia antipertensiva prevede quindi l'esecuzione di approfondimenti diagnostici, a volte complessi. La terapia farmacologica va iniziata immediatamente nei soggetti con ipertensione di grado 3. |
Le linee guida americane indicano i diuretici tiazidici come farmaci di elezione nella terapia iniziale dell'ipertensione, da soli o in associazione con altri farmaci che hanno dimostrato di ridurne la mortalità e le complicanze (ACE-inibitori, antagonisti dell'angiotensina II, beta-bloccanti, calcio-antagonisti). Al termine dello studio clinico ALLHAT, dopo 5 anni di trattamento, il 59,3% dei soggetti (con ipertensione di grado 1 o 2 ed un fattore di rischio addizionale) era riuscito a mantenere il controllo pressorio utilizzando clortalidone in monoterapia. Il passaggio alla terapia di associazione è previsto qualora non venga raggiunta la PA target con una monoterapia a dosaggio ottimale. In caso di ipertensione di grado 2 (sistolica 160 oppure diastolica 100 mmHg) può essere opportuno iniziare il trattamento con due farmaci, ma deve essere posta attenzione nei pazienti a rischio di ipotensione ortostatica, ad esempio quelli con diabete, disfunzioni al sistema nervoso autonomo e nei soggetti anziani. La compresenza di alcune patologie concomitanti rende opportuna l'introduzione nella terapia di farmaci appartenenti a classi determinate, che hanno dimostrato esiti favorevoli nelle specifiche patologie (vedi Tabella). |
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Secondo le linee guida europee, invece, i risultati degli studi più recenti dimostrano che i benefici della terapia antipertensiva sono dovuti all'abbassamento della PA, indipendentemente dal farmaco utilizzato e concludono quindi che tutte le classi più importanti di farmaci antipertensivi (diuretici, beta-bloccanti, calcio-antagonisti, ACE-inibitori, antagonisti dell'angiotensina II) sono equivalenti, sia nel trattamento iniziale, che nella terapia di mantenimento. Questa posizione riprende quella riportata dalle contestatissime linee guida dell'OMS del 1999. |